Le fondatrici
Eleonora e Nehase

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TESTIMONIANZA DI ELEONORA

Mi chiamo Eleonora Ghirigato e sono nata il 27 luglio 1986 a Isola della Scala in provincia di Verona. Nel 2009, dopo aver conseguito il diploma di grafico pubblicitario e lavorato presso una cartoleria del mio paese, ho deciso di fare un’esperienza di tre mesi di volontariato in Africa. Tra le tante realtà che mi erano state proposte quella più abbordabile era in Etiopia nelle missioni dei Frati Cappuccini dell’Emilia-Romagna. In quei tre mesi, mossa da tanta curiosità e grinta, ho cercato di visitare e conoscere tutte le realtà che mi venivano proposte e devo dire di essere tornata a casa con un bel bagaglio. Al ritorno in Italia ho deciso di frequentare il corso per Operatrice Socio-Sanitaria, lavoro che ho molto amato.

Il desiderio di tornare in Etiopia era sempre vivo dentro di me e continuava a crescere fino a quando, nel 2014, ho scelto di ripartire. Questa volta però dovevo capire se fosse o meno la mia strada. Pensavo: “non voglio arrivare all’età di 40 anni con il pensiero di aver voluto andare in missione e di non aver provato; preferisco partire e vedremo cosa mi riserverà il futuro. Al massimo capirò che non fa per me e tornerò a casa”.

Ho conosciuto l’Istituto Missionario Ancelle dei Poveri che opera in Etiopia e che ha accettato di accogliermi e ospitarmi per un periodo di verifica e discernimento. Grazie a loro ho avuto la possibilità di visitare scuole, asili, cliniche, dispensari e centri di accoglienza, studiare l’inglese, approfondire la mia conoscenza della cultura etiope e conoscere meglio me stessa.

Nel 2016, dopo due anni di esperienza con loro, ho capito che la mia strada sarebbe stata quella di vivere sì in Etiopia ma come laica e non nel loro Istituto. La paura non mancava e mi chiedevo come avrei potuto proseguire, da sola, in un paese straniero verso una strada ancora tutta da scoprire. In questo (come in tante altre situazioni) la fede mi ha dato il coraggio di perseverare ed ecco che arrivarono i primi segnali. Una domenica pomeriggio mi siedo sul prato della missione a chiacchierare con Nehase, una delle ragazze che studia teologia per giovani, e tra tante cose mi dice di voler lasciare il gruppo delle studentesse non appena fosse finito l’anno scolastico. A questo punto le racconto un po' di me e del mio desiderio di aprire una casa-famiglia che possa aiutare i più bisognosi in Etiopia e mi ha chiesto se fossi stata felice di iniziare questo servizio assieme a lei.

Le nostre strade si sono dunque incrociate e ad ottobre ci siamo trasferite nella Regione del Dawro. Per sei mesi abbiamo alloggiato nella casa per gli ospiti nella parrocchia di Gassa Chare e abbiamo iniziato a chiedere informazioni agli uffici governativi e al dipartimento sanitario per capire quale tipo di necessità ci fossero in quella zona e poter così iniziare un servizio che rispondesse alle esigenze del posto. Siamo arrivati alla conclusione che serviva una casa-famiglia che ospitasse bambini orfani di mamma dalla nascita, disabili e/o denutriti perché in tutto il Dawro non esisteva alcun servizio. Ho informato e chiesto aiuto ad amici e parenti in Italia spiegando che avremmo iniziato questa nuova opera e che potevamo contare solo sul loro sostegno economico e gli aiuti sono subito arrivati. Nell’aprile 2017 è iniziata la costruzione della casa-famiglia nel terreno che ci è stato donato. Come prima cosa abbiamo assunto degli operai giornalieri che ci hanno aiutate a pulire tutto il terreno che sembrava una foresta montuosa e abbandonata, e poi scavato lo spazio necessario per iniziare le fondamenta della costruzione della casa. Le prime tre stanze che abbiamo fatto costruire erano una camera con due letti, un bagno e un cucinino in modo da non dover più spendere soldi di vitto e alloggio negli ambienti parrocchiali e per poter gestire l’evolversi dei lavori più da vicino. I primi mesi sono stati impegnativi...niente luce, niente acqua, niente bombole del gas. Si andava a prendere l’acqua al pozzo con delle taniche, per scaldarla serviva la legna e il fuoco, per cucinare solo fornellini a cherosene, la doccia era dentro uno sgabuzzino all’aperto con secchio e caraffa, i nostri pasti erano prevalentemente verdure lessate, verdure fresche e minestrone.

E’ stato difficile e profondamente bello iniziare con niente, da zero. Mi ha permesso di capire molte cose su questo paese e mi ha fatto amare questo posto, questa gente, questa casa. A dicembre 2017 è arrivato il primo gruppo di volontari italiani che ci hanno aiutate a dare un po' di vita alla casa. L’orto, i tavoli, i letti, fissare i sanitari nei bagni, connettere i boiler dell’acqua calda, realizzare l’impianto elettrico, dipingere i muri...insomma ci hanno cambiato la vita!

Oggi posso dire che, anno dopo anno, grazie all’aiuto di tanti amici e benefattori che credono in noi, che hanno visto e che ci sostengono, sembra che il Villaggio della Speranza valga la pena di esistere e continui a crescere e migliorare in tutti i suoi aspetti.

Sono felice della scelta di vita che ho fatto e del servizio che svolgo. Cerco di dare il massimo per gestire nel migliore dei modi tutto ciò che i nostri sostenitori ci mandano nella speranza di poter sempre garantire e preservare la vita, il futuro e la crescita di questi bambini e delle loro famiglie.

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Testimonianza di nehase

Mi chiamo Nehase Chalalo, sono nata il 9 agosto 1995 in un piccolo villaggio ad un’ora di cammino da Badessa-Soddo nella regione Wolayta. Provengo da una famiglia povera e che ha sempre faticato molto. Siamo 8 fratelli: 2 sorelle maggiori che non ho mai conosciuto, un fratello che è morto quando ero piccola, due sorelle e due fratelli. Io sono la penultima figlia. Nonostante le fatiche i miei genitori si sono sempre presi cura di me nel migliore dei modi.

Quando ero piccola andavo con mio fratello minore a prendere l’acqua di notte in un fiume ad un’ora da casa nostra (di giorno c’era troppa fila e io dovevo aiutare mia mamma nelle faccende di casa). Alle 7.00 poi partivo assieme agli altri bambini per andare a piedi verso la scuola. Nel pomeriggio portavo le mucche al pascolo, raccoglievo la legna per il fuoco, tagliavo l’erba per le mucche la notte, andavo al mercato a vendere qualche avocado o banana del nostro giardino e comprare così farina di mais e cavolo nero per la cena; poi tornavo a casa ad aiutare mia mamma a cucinare.

Nel mio villaggio alcuni bambini erano senza madre e non avevano la possibilità di vivere come me che anche nella povertà mi sentivo fortunata. Alcuni di loro venivano a mangiare a casa nostra e la mia famiglia era felice di ospitarli e vederli tornare a casa felici. Ricordo che assieme a mia mamma mi prendevo cura della nonna con demenza senile e rimasta vedova e sola.

I miei genitori erano protestanti ma prima di sposarsi si sono convertiti al Cattolicesimo e mio papà è diventato catechista. Ogni sabato andavo alle prove del coro con gli altri giovani e la domenica, dopo la messa e dopo aver raccolto legna e erba, andavo al mercato a vendere il latte accumulato durante la settimana e con il ricavato potevo comprare qualcosa di “diverso” dai soliti giorni. Le mie sorelle ormai erano grandi e pronte per sposarsi quindi lavoravano e accumulavano soldi per la loro nuova famiglia.

Dopo aver completato gli studi ho deciso che la mia vita sarebbe stata al servizio dei più poveri e bisognosi. All’età di 15 anni ho avuto la possibilità di proseguire gli studi di computer, inglese e teologia per giovani unendomi all’Istituto Maids of the Poor (Ancelle dei Poveri) che ospitava le ragazze nelle loro missioni e le aiutava nella formazione. Per alcuni anni ho vissuto in una delle loro case dove gestivano un centro per bambini orfani e denutriti e proprio lì ho capito che era quello che avrei voluto fare.

Nel 2014 ho conosciuto Eleonora che era venuta in Etiopia per verificare il suo desiderio di vivere qui come missionaria. Abbiamo vissuto assieme fino ad ottobre 2016 quando abbiamo deciso di lasciare l’Istituto e di fondare il “Villaggio della Speranza” nella regione Dawro ancora sprovvista di centri per bambini orfani, disabili e/o denutriti.

Sono felice e grata di aver incontrato Eleonora, di aver avuto l’opportunità di scegliere liberamente quale strada intraprendere e di poter lavorare al servizio di questi bambini meno fortunati che vedono in me una madre che li ama e che si prende cura di loro.

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